IL CASTELLO E LA SUA CORTE

Secondo alcune ipotesi il castello sorse nella prima metà del XIV secolo, su ispirazione dell’architettura sveva, allorquando Militello divenne feudo della famiglia Barresi. La costruzione aveva una pianta quadrata, ed era delimitata da una torre ad ogni angolo. Inoltre, un torrione, destinato ad abitazione, si elevava al centro di uno dei quattro lati. Più o meno tale era il suo aspetto prima del terremoto del 1542. Con l’avvento del principe Francesco Branciforte (siamo nella prima metà del Seicento) si allargarono notevolmente gli spazi contigui alle mura interne, fu prolungata l’ala di ponente (chiusa da un contrafforte, erroneamente indicato come “bastione”) e realizzato un ampio cortile, dove venne sistemata una artistica fontana. Il nuovo terremoto del 1693 farà scempio di gran parte del maniero, di cui oggi si intravedono solo una parte del muro e della torre di nord-est, la torre monca di sud-ovest (che si affaccia sulla Via Porta della Terra a guardia dell’ingresso del cortile), il cosiddetto bastione, di cui si è fatto cenno, e la fontana, che però esibisce solo una copia del bassorilievo centrale, raffigurante la ninfa Zizza, custodito in un apposito locale dell’ex Convento dei Domenicani, mentre il resto è originale.
Prima dell’epoca branciforte il castello fu testimone della infelice vicenda della baronessa Aldonza Santapau (1473), uccisa da un Barresi, di cui non è certa l’identità, per sospetto tradimento (e su cui esiste un’ampia letteratura). Al suo interno, inoltre, si sarebbe svolta una seduta del Parlamento siciliano (nel 1357), e avrebbe trovato rifugio la regina Bianca di Navarra in fuga dal Conte Cabrera (1410). Ad eccezione della storia di donna Aldonza, peraltro con qualche lato oscuro riguardo all’ autore del misfatto, si tratta, comunque, di eventi quasi leggendari di cui non si hanno riscontri certi.
L’epoca più fulgida del castello si fa coincidere con la presenza a Militello del principe di Pietraperzia, don Francesco Branciforte (1575-1622; erede di uno dei più importanti casati di Sicilia), e della sua consorte, donna Giovanna d’Austria (1573-1630). Era costei una figlia naturale di don Giovanni d’Austria, il condottiero che aveva guidato i cristiani nella vittoriosa battaglia navale di Lépanto contro gli ottomani nel 1571, che a sua volta era figlio naturale dell’imperatore Carlo V d’Asburgo. Le nozze costituirono una delle funzioni memorabili celebrate in Palermo nell’ anno 1603. Donna Giovanna era arrivata da Napoli il 14 luglio ed era stata accolta dalle massime autorità della città. Il 20 luglio, giorno segnalato a farsi la solenne entrata, tutti si erano dati appuntamento al Molo piccolo, dove il viceré calò con nobilissima cavalcata di signori e di cavalieri, portando con sé lo sposo riccamente vestito, mentre la sposa vi giunse associata da molti principi e signore dame. Un grandioso corteo si mosse verso il Palazzo Reale, dove donna Giovanna fu ricevuta da nobilissime dame, ed arrivando nella bellissima Galeria, principio del suo appartamento, tutta adorna di pitture e di ritratti diversi e particolarmente degli imperatori e re di casa Austria, si trovò l’arcivescovo di Palermo col suo clero ed essendoci acconciato un bellissimo altare… posta in ginocchione la sposa col principe sposo, celebrò il santo sponsalizio alla presenza del viceré, come procuratore di Sua Maestà e padrino del principe sposo, e per la sposa donna Caterina Branciforte. Un ritratto della principessa, contemporaneo o molto vicino a tali eventi, si conserva nel Palazzo Butera di Palermo, e per quanto l’iscrizione alla base riporti il nome della figlia Margherita, viene dato per certo che si tratta proprio di donna Giovanna, mentre la mano dell’artista che l’avrebbe dipinta, che qualcuno, in un primo momento aveva individuato in Filippo Paladini, sarebbe quella della pittrice Sofonisba Anguissola.
La coppia di principi si trasferì quasi subito a Militello, divenendo artefice di quello che è considerato unanimemente il periodo d’oro della piccola cittadina. Nei quasi venti anni di permanenza essi trasformarono la loro corte in un laboratorio di cultura e la città in un cantiere consacrato alla bellezza. Biblioteche, acquedotti, pinacoteche, fontane, monasteri, ospedali, furono il marchio di fabbrica di questa coppia illuminata e ineguagliabile. Si è detto della fontana della Zizza, sistemata nel 1607, con la quale si coronò l’approvvigionamento idrico cittadino che era stato avviato due anni prima. La delicata scultura che la rappresenta si attribuisce a Giandomenico Gagini jr. Qualche anno dopo vennero realizzati la fontana di S. Vito e il primo orologio pubblico. I principi, in egual misura, favorirono, per così dire, le anime, le arti e il decoro cittadino. A loro si deve la fondazione del monastero di S. Benedetto, e la riedificazione di quelli di S. Domenico e di S. Francesco di Paola. La stessa donna Giovanna fu artefice della fondazione dell’ospedale dei Fatebenefratelli, attaccato alla Chiesa di S. Antonio Abate e destinato al ricovero degli ammalati ed all’abitazione dei Padri in servizio degli infermi. L’ospedale poi sarà distrutto dal terremoto del 1693. Nel 1617 venne ampliata e rettificata la via Leone, oggi Porta della Terra, non meno che le pubbliche carceri. Mentre non è possibile ascrivere con certezza alla committenza dei principi la costruzione del gran campanile a quattro ordini tutto di pietra intagliata della vecchia chiesa madre di S. Nicolò, caduto anch’esso nel 1693. Si ricorda ancora l’edificazione della Casina dell’Ambelia, nel feudo di Rasinech, ancora oggi esistente, facente parte della tenuta gestita dall’Istituto Incremento Ippico per la Sicilia. Il castello fu un vero cenacolo di artisti, letterati, scienziati. Francesco Branciforte raccolse una cospicua biblioteca con migliaia di volumi e il locale destinato ad ospitarla fu proprio quel prolungamento dell’ala di ponente di cui si è già detto prima. Alla biblioteca si aggiungevano una armeria fornitissima, nella quale troneggiavano armature complete che incutevano timore e suscitavano meraviglia nei visitatori, una pinacoteca, una raccolta di strumenti meccanici, una distilleria. A Militello venne impiantata anche una tipografia, un unicum di eccezionale rilevanza per il periodo, dai cui torchi uscì per primo, nel 1616, il celeberrimo trattato sul Gioco de gli scacchi di don Pietro Carrera, ancora oggi menzionato fra i testi storici del gioco. Lo stesso principe era molto versato nei componimenti letterari (due commedie, Il turco fedele e I due pellegrini; un trattato sull’amore onesto, Il Cis), ma anche attento estensore di codici municipali (Constitutiones, Bannia, seu iura municipalia Militelli vallis Neti…), così come la consorte si dilettava di creare brani musicali. Frequenti erano le rappresentazioni teatrali, per le quali i coniugi contribuivano anche con la ricca collezione degli abiti personali. Tutto questo finì improvvisamente nel 1622 con la morte (molto sospetta) di don Francesco Branciforte, venuto a mancare mentre si trovava in visita a Messina per rendere omaggio al nuovo viceré Emanuele Filiberto di Savoia. Una recente indagine ha confermato l’avvelenamento da arsenico. Il castello decadde repentinamente, anche a causa della fuga di donna Giovanna d’Austria da Militello e del disinteresse dei successori che, tranne qualche eccezione, a poco a poco se ne allontanarono per non farvi più ritorno. La biblioteca, per volontà di Margherita Branciforte, unica figlia dei principi, fu trasferita a Napoli e affidata ai Padri Teatini, nonostante donna Giovanna l’avesse destinata con un legato all’Ordine dei Benedettini di Militello. Secondo l’inventario curato dal notaio Pietro Magro si trattava in tutto di 9567 volumi. Moltissimi di questi furono poi venduti a lotti e dispersi. Oltre ai vari sconvolgimenti operati dalla natura, hanno contribuito al depauperamento della struttura del castello anche le continue manomissioni e i saccheggi fatti per mere opportunità edilizie, per cui quello che oggi è visibile risulta essere ben poca cosa rispetto all’antico splendore. (P5519)

Pio Salvatore Basso


BIBLIOGRAFIA

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